ISTITUTO ITALIANO PER GLI STUDI FILOSOFICI
ASSISE DELLA CITTA’ DI NAPOLI E DEL MEZZOGIORNO D’ITALIA
LA RETE 2018 -
MARTEDI’ 2 FEBBRAIO 2016 ore 15 in Palazzo Serra di Cassano in Via Monte Di Dio 14 - Napoli -
IL PROF. LEOLUCA ORLANDO SINDACO DI PALERMO
ILLUSTRA IL DOCUMENTO :
IO SONO PERSONA. “DALLA MIGRAZIONE COME SOFFERENZA ALLA MOBILITA’ COME DIRITTO”
MOBILITA’ UMANA INTERNAZIONALE --- CARTA DI PALERMO ---
INTERVENGONO:
IL SINDACO DI NAPOLI avv. LUIGI DE MAGISTRIS
IL PORTAVOCE DEL PRESIDENTE DELLA GIUNTA DELLA REGIONE CAMPANIA avv. EMILIO DI MARZIO
IL PRESIDENTE DELLA LEGA ITALIANA DIRITTI DELL’UOMO dr. ALFREDO ARPAIA
IL PRESIDENTE DELLE ASSISE DELLA CITTA’ DI NAPOLI E DEL MEZZOGIORNO D’ITALIA dr. GIUSEPPE COMELLA
LA DIRIGENTE GILDA NAPOLI-TOLEDO dr.VALERIA DE LORENZO
PARTECIPANO RESPONSABILI DELLE ISTITUZIONI, DEL SINDACATO E DEL VOLONTARIATO, DOCENTI, STUDENTI.
PRESENTA IL CONVEGNO: FRANCESCO DE NOTARIS
Il
documento, frutto di un lavoro collettivo , è stato redatto al
termine del Convegno tenutosi per iniziativa del Sindaco di Palermo
prof.Leoluca Orlando e risponde alle sollecitazioni del Papa
Francesco che effettuò la Sua prima visita pastorale a Lampedusa.
IO
SONO PERSONA
“Dalla
Migrazione come Sofferenza alla Mobilità come Diritto”
MOBILITA’
UMANA INTERNAZIONALE - CARTA DI PALERMO
Palermo
13/ 15 marzo 2015
Cantieri
Culturali alla Zisa
Il
processo verso la cittadinanza di residenza. Perché chiediamo
l’abolizione del permesso di soggiorno. Il diritto alla mobilità
come diritto della persona umana.
I
problemi legati alle ormai quotidiane migrazioni devono e possono
trovare soluzione solo se si inseriscono nella cornice della mobilità
come diritto. Dalla migrazione, appunto, come sofferenza alla
mobilità come diritto. Nessun essere umano ha scelto, o sceglie il
luogo dove nascere; deve vedersi riconosciuto il diritto di scegliere
il luogo dove vivere, vivere meglio e soprattutto evitare di essere
ucciso, sopravvivere, non morire.
Affrontare
i flussi migratori può essere, ed è spesso una emergenza,una
drammatica emergenza. Occorre però rendersi conto che tale emergenza
è soltanto la punta dell'iceberg dell'inevitabile ordinario
spostamento di milioni di esseri umani legato alla inarrestabile
globalizzazione che si collega a crisi economiche e crisi politiche
di lungo periodo.
Il
nomadismo dei secoli passati legato, ad esempio, alla mancata
turnazione dell'utilizzo produttivo dei terreni e alle carestie, oggi
si è convertito nei movimenti di milioni e milioni di esseri umani.
Uscire
dalla emergenza, dalle tante emergenze e' necessario. Io sono una
persona.
E',
parimenti, necessario evitare la cronicizzazione delle emergenze,
affrontando un tema che e' drammatica emergenza in talune
situazioni,tutte comunque riconducibili ad un dato strutturale:
l’impossibilità di bloccare lo spostamento di milioni e milioni di
esseri umani.
La
soluzione alle emergenze, presenti in tutto il mondo e non soltanto
nel Mediterraneo, non può prescindere, dunque, da una visione
progettuale che indichi il punto di partenza e il punto di arrivo. Il
punto di partenza: essere il migrante una persona."Io sono
persona".
Occorre
dunque riconoscere la mobilità di tutti e di ciascuno essere un
diritto umano inalienabile.
Ogni
altro aspetto ,ivi compresa la troppe volte e impropriamente invocata
"sicurezza",ogni soluzione
legislativa,amministrativa,organizzativa,comportamentale deve essere
coerente ai ricordati punti di partenza e di arrivo.
Accanto
al titolo del Convegno di Palermo e' inserita una impronta digitale :
per ricordare che ogni esigenza,a partire da quella della
sicurezza,deve essere rispettosa del migrante persona umana e della
mobilità come diritto.
Abolizione
del permesso di soggiorno non e' una provocazione, non e' uno slogan
velleitario. E' la conferma di una scelta progettuale e valoriale ,
che impone la eliminazione di apparati normativi emergenziali e
disumani.
La
storia e' piena di apparati normativi emergenziali che pervertono il
valore della sicurezza e il valore del rispetto della persona umana.
Una legalità disumana, in sintesi.
Basti
citare la pena di morte,che tuttavia persiste in numerosi stati che
pretendono anche definirsi civili e democratici, e la schiavitù ,che
prevista da leggi consentiva - e' soltanto un esempio- al grande
Voltaire di arricchirsi comprando e vendendo esseri umani.
Un
ruolo importante deve e può essere svolto dall'Unione Europea che
deve essere una visione che si fa concretezza e vita quotidiana.
L'Unione
Europea- troppo spesso ne sottovalutiamo o ne pervertiamo il
significato a causa di logiche contabili,speculative,finanziarie - e'
un esempio straordinario di volontà di convivenza e coesione a
partire dal suo essere una "Unione di minoranze". In Europa
nessuno e' maggioranza per ragioni identitarie : non i tedeschi ne'
i musulmani,non gli ebrei o i francesi. Nessuna identità e'
maggioranza. E in Europa si sono , coerentemente, rifiutate schiavitù
e pena di morte.
E'
tempo che l'Unione Europea promuova la abolizione del permesso di
soggiorno per tutti coloro che migrano, riaffermando la libertà di
circolazione delle persone, oltre che dei capitali e delle merci, nel
mondo globalizzato. Deve partire proprio dall’Europa una forte
sollecitazione alla comunità mondiale per il riconoscimento della
mobilità di tutti gli esseri umani come un diritto, su scala globale
e non soltanto all’ interno dello spazio Schengen.
Che
tutto ciò comporti adeguatezza di modalità e tempi e' evidente. E'
parimenti evidente però che comportarsi sin da subito "come se
" la mobilità sia un diritto comporta, nel concreto e nel
quotidiano, normazioni e organizzazioni ben diverse se ci si comporti
( come oggi ci si comporta con logiche emergenziali ) "come se "
il migrante sia un pericolo in se' e pertanto occorra rassegnarsi
alla migrazione come sofferenza, con l'alibi della sicurezza che
copre razzismi, egoismi, torture e colonialismi del terzo millennio.
La
migrazione non può dunque essere considerata come un problema di
frontiere, di identità culturale e religiosa, di politica sociale e
di accesso al mercato del lavoro. Si deve uscire dalla logica e
dalle politiche dell’emergenza che durano ormai da decenni, la
mobilità umana costituisce un fattore strutturale della nostra
società e non costituisce soltanto una questione di sicurezza.
Occorre liberalizzare questa mobilità umana e valorizzarla come una
risorsa e non come un onere aggiuntivo per i paesi di destinazione.
Nel nostro paese si tratta di dare concreta attuazione agli articoli
2 e 3 della Costituzione, rendendo effettivi i diritti fondamentali
della persona e rimuovendo gli ostacoli che ne impediscono la piena
realizzazione.
Si
deve anche prendere atto dell’arrivo di un numero crescente di
richiedenti protezione internazionale o umanitaria e di una notevole
mobilità di quanti, già soggiornanti nei diversi paesi dell’area
Schengen, ed in particolare in Italia, verso quegli Stati nei quali
si possono ancora individuare migliori possibilità di occupazione e
livelli soddisfacenti di welfare. Nel tempo della crisi si diffonde
il pregiudizio che gli “stranieri” sarebbero responsabili
dell’aggravamento dei problemi che affliggono gli strati meno
abbienti della popolazione. Eppure gli immigrati non hanno certo
scelto un luogo dove nascere e sempre più spesso non sono partiti
per migliorare la propria posizione, ma solo per difendere il loro
diritto alla vita. Anche in questo caso va data piena attuazione al
dettato costituzionale che all’art. 10 riconosce il diritto di
asilo a tutti coloro che sono costretti a fuggire da paesi nei quali
non sono garantiti i diritti fondamentali.
Di
fronte alle reazioni difensive che caratterizzano sempre di più la
nostra società occorre reagire con politiche e con prassi applicate
dagli organi istituzionali che favoriscano la conoscenza reciproca,
la parità di trattamento, la partecipazione democratica. Sono questi
i veri fattori che possono garantire maggiore sicurezza. L’accesso
effettivo dei migranti ai diritti fondamentali della persona, a
partire dai diritti alla residenza ed alla circolazione, appare un
obiettivo ineludibile che va perseguito con interventi multilivello,
non solo a livello europeo e nazionale, ma anche con il concorso
degli enti locali e delle organizzazioni non governative per
garantire una coesistenza pacifica ed una valorizzazione delle
differenze culturali, come una risorsa.
La
punta dell’orizzonte è pertanto il passaggio dalla migrazione come
sofferenza alla mobilità come diritto umano. Le attuali previsioni
internazionali garantiscono ipocritamente il diritto di emigrare ma
non garantiscono un corrispondente diritto all’ingresso con uno
specifico dovere di accoglienza da parte degli stati.
Occorre
costruire una nuova convivenza civile sui comportamenti quotidiani e
non sui proclami ideologici o su processi di mera assimilazione. Va
superata la logica escludente del permesso di soggiorno, che riduce
l’esistenza delle persone ad una mera sopravvivenza condizionata
dal rilascio periodico e discrezionale di un documento che implica un
iter burocratico di durata imprevedibile, nel corso del quale i
migranti, anche se presenti da anni nel territorio dello stato, sono
esposti al rischio di ricadere in condizioni di precarietà e di
emarginazione.
Superare
il permesso di soggiorno significa considerare i migranti come
persone, come esseri umani, a prescindere del documento che ne
sancisce lo status, significa anche vedere in loro non dei “carichi
sociali” o “consumatori di risorse: siano esse posti di lavoro,
aiuti sociali o case popolari”, ma dei cittadini attivi in grado di
dare valore alla comunità un cui risiedono.
Abolire
il permesso di soggiorno, in prospettiva, deve significare costruire
una nuova cittadinanza basata sulla condivisione e sul rispetto
reciproco – per tutti – dunque politiche di empowerment, di
autonomia, e canali di ingresso che non facciano arrivare persone
piegate e offese dalle violenze delle frontiere e delle
organizzazioni criminali che ne consentono il superamento.
Diritti
di cittadinanza e percorsi di cittadinanza. Per la coesione sociale.
Per
diritti di cittadinanza si possono intendere il diritto alla
residenza legale, la protezione contro procedure illegittime di
espulsione e di trattenimento amministrativo, l’accesso al mercato
del lavoro, l’accesso ai servizi pubblici, il diritto a vivere in
famiglia, l’accesso all’educazione ed alla formazione
professionale, il diritto alla sicurezza ed alla previdenza sociale,
la libertà di riunione e di associazione, il diritto di partecipare
alla vita politica (almeno a livello di elezioni amministrative), il
diritto di partecipare alle elezioni europee e di ricorrere agli
organi della giustizia europea, il diritto alla mobilità nel
territorio nazionale e nei diversi paesi dell’Unione Europea.
Occorre
una modifica sostanziale della legislazione nazionale e regionale in
materia di migrazione. Appare ormai improcrastinabile l’adozione di
una legge regionale organica in materia di immigrazione. La Sicilia è
l’unica regione italiana che ne rimane ancora priva. Ma occorre
anche un costante impegno verso prassi applicate a livello
amministrativo che restituiscano effettività ai diritti ed ai doveri
sanciti troppo spesso solo sulla carta. Si dovrà dedicare una
particolare attenzione alla condizione dei soggetti più vulnerabili,
come i richiedenti asilo ed i rifugiati, i minori stranieri non
accompagnati e le vittime di tratta.
Nella
prospettiva di una piena attuazione del principio di non
discriminazione, va ampliata la possibilità di conseguire la
cittadinanza italiana, con il superamento di normative e prassi
amministrative che allungano i tempi e ne rendono assai difficile il
riconoscimento formale.
LE
FRONTIERE, IL DIRITTO ALLA VITA.
Le
analisi e le proposte che faremo sono immediatamente riferite
all’Europa, ed ai singoli Stati che la compongono, ma costituiscono
criterio di riferimento che può e deve essere utilizzato anche per
la mobilità che non riguarda l’Europa.
Nel
quadro della mobilità globale, emerge oggi che coloro che sono
costretti a partire sono nella maggior parte di casi, persone vittime
delle guerre, dei conflitti interni e della violenza.
Sono persone in fuga dagli stessi orrori che oggi alimentano paure
nel mondo intero. Sono profughi, richiedenti asilo, che hanno il
diritto di essere protetti. Non solo in Europa.
Di
fronte a questa realtà oggettiva non si possono accettare i recenti
proclami dell’Unione europea che chiedono di aprire canali di
ingresso legali solo per “talenti qualificati”, e di
esternalizzare invece il diritto d’asilo stringendo accordi con gli
stessi regimi da cui le persone fuggono.
Occorre
fare chiarezza sui Processi di Rabat
e di Karthoum ad oggi in corso.
LA
PROPOSTA DI ESTERNALIZZARE IL DIRITTO DI ASILO NEI PAESI DI TRANSITO
E DI CREARE CAMPI DI RACCOLTA IN AFRICA NON APPARE RISPETTOSA DEL
DIRITTO DI ASILO COME E’ SANCITO DALLE CONVENZIONI INTERNAZIONALI E
DALLA NORMATIVA EUROPEA ED INTERNA.
L’accesso
effettivo al diritto d’asilo è l’assoluta priorità, attraverso
l’apertura di percorsi di arrivo garantito,
che permettano alle persone di raggiungere in sicurezza e di fare
sul territorio europeo richiesta di protezione internazionale.
L’Unione
Europea dovrà riconsiderare la propria politica sui visti di
ingresso, aprendo canali legali di ingresso per lavoro, in un momento
di crisi in cui molti migranti si orientano verso altre zone del
mondo, e sull’asilo ( protezione internazionale), in modo da
contrastare il ricorso ai trafficanti, che oggi, anche per coloro che
sono costretti alla migrazione forzata, costituiscono il principale
canale di ingresso.
OCCORRE
UNA MODIFICA SOSTANZIALE DELLA NORMATIVA EUROPEA
Il
Regolamento FRONTEX e del Regolamento Dublino vanno modificati, nel
senso di garantire una missione europea di salvataggio in mare, che
costituiva il senso della missione Mare Nostrum, che è rimasta
purtroppo una iniziativa esclusivamente italiana.
Occorre
un riconoscimento reciproco delle decisioni che stabiliscono il
diritto alla protezione internazionale.
Il
diritto alla libera circolazione dei profughi in Europa va garantito
con un accelerazione ed una semplificazione delle procedure. In tempi
più immediati vanno evitate modifiche ancora più restrittive del
Regolamento Dublino e vanno assistiti con misure particolari, di
carattere assistenziale, legale e psicologico, tutti coloro che sono
riammessi in Italia da altri paesi europei, per effetto
dell’applicazione del Regolamento, in modo di garantire successive
possibilità di mobilità, il diritto di ricorso ed il diritto al
ricongiungimento familiare.
IL
DIRITTO ALLA PROTEZIONE ED IL DIRITTO ALL’ACCOGLIENZA
La
situazione del sistema di accoglienza italiano è già assai critica
alla vigilia di una stagione nella quale si può prevedere un rapido
aumento degli arrivi.
Se
l’accoglienza nelle sue diverse fasi e i percorsi di inclusione
(es.apprendimento della lingua, ripresa psicologica, orientamento ed
avviamento verso il lavoro) non vengono garantiti, il sistema
accoglienza rischia di diventare, un nuovo canale per riprodurre le
clientele ed una fabbrica di emarginazione che peserà su tutti.
Entrambe le cose fanno male non solo ai migranti ma all’intera
comunità. Investire
sull’inclusione e sulle capacità delle persone: qualunque sia il
loro status è giusto perché valorizza la dignità della persona ed
anche remunerativo. Vanno incrementati
ancora i posti dei centri SPRAR ( Servizio nazionale di protezione
per richiedenti asilo e rifugiati) e garantiti standard dignitosi per
gli altri centri di primissima e di prima accoglienza e dei CARA,
evitando gestioni opache e concentramenti di persone in luoghi che
sfuggono a qualsiasi possibilità di controllo.
Occorre
attivare un monitoraggio dei centri di accoglienza, delle diverse
tipologie, oggi esistenti nel territorio. In particolare occorre
verificare la corrispondenza delle dotazioni di personale e delle
professionalità richieste con lo schema tipo di convenzioni
sottoscritte dagli enti gestori.
Al
fine di garantire una migliore programmazione del collocamento e dei
trasferimenti delle persone vanno riattivate tutte le sedi di
confronto tra istituzioni e tra queste e le associazioni.
Vanno
in particolare evitate modalità di trasferimento tra i diversi
centri che interrompano i processi di integrazione e allunghino
l’iter burocratico per il riconoscimento di uno status definitivo
di soggiorno.
Vanno
riattivati i Consigli territoriali per l’immigrazione e si dovranno
stabilire occasioni di confronto periodico con gli uffici stranieri
della Questura al fine di velocizzare le procedure anche attraverso
il contributo delle associazioni, degli uffici comunali e degli
operatori professionali. Occorre restituire funzionalità agli
organismi esistenti, ad esempio nei tavoli di coordinamento, e
aumentare i canali di partecipazione. In questa direzione risulterà
sempre più importante il ruolo della Consulta, e si dovranno
prevedere con cadenza periodica assemblee cittadine nelle quali siano
chiamati a partecipare immigrati ed autoctoni , con riunioni
allargate di commissioni permanenti per verificare lo stato di
realizzazione dei percorsi di cittadinanza.
IL
LAVORO. IL DIRITTO ALLA DIGNITA’
Nel
corso degli ultimi due decenni, la produzione di migranti
“irregolari” si è affermata gradualmente come asse portante del
nostro sistema sociale, così come il circolo irregolarità-sanatorie
è assurto a perno tanto delle logiche della legittimazione politica,
quanto di quelle del mercato (Santoro). Sul primo versante, la
repressione dei migranti diventa una delle principali arene politiche
in cui si contendono i voti degli elettori; sul secondo versante, la
condizione di illegalità dei migranti favorisce il loro impiego con
una remunerazione irrisoria e consente non solo la sopravvivenza di
imprese che non potrebbero permettersi di retribuire regolarmente i
loro lavoratori, ma soddisfa anche bisogni primari delle famiglie
italiane, a cui il welfare state
non è assolutamente in grado di rispondere. In parallelo, si è
diffuso una sorta di razzismo economicistico strisciante che,
partendo dalla visione dei migranti come “risorse” indispensabili
per il sistema produttivo di beni e servizi e, allo stesso tempo,
soggetti esclusi dai circuiti assistenziali e previdenziali, ha
impercettibilmente condotto alla creazione di un modello di
inclusione sociale neo-schiavistico.
Occorre
rompere il legame tra permesso di soggiorno e contratto di lavoro e
stabilire forme di ingresso regolare e possibilità effettive di
regolarizzazione permanente in presenza di requisiti certi ed
obiettivamente verificabili ( lavoro e residenza stabile).
Allo
strumento ipocrita di regolarizzazione periodica che si verificava
con i decreti flussi annuali, oggi sospesi, va sostituita la
possibilità permanente di regolarizzazione per chi matura requisiti
di stabilità e di inserimento in Italia.
Va
eliminata la previsione di una perdita del permesso di soggiorno per
coloro che perdono il lavoro. Si tratta di una attribuzione di un
potere ingiustificato ai datori di lavoro, che diventano arbitri del
destino e spesso della vita di esseri umani, alimentando anche in
questo caso un diffuso mercato illegale che è proprio dei
proibizionismi esasperati.
Va
abolito l’accordo di integrazione che nella prassi applicata
rischia di diventare uno strumento di selezione differenziata.
A
livello territoriale vanno verificate tutte le prassi per il
riconoscimento ed il rinnovo dei permessi di soggiorno.
Occorre
costituire un Osservatorio indipendente sulle politiche di
integrazione, a livello regionale, ed in prospettiva a livello
nazionale, per prevenire l’esclusione sociale, per rilevare le
buone pratiche e diffonderle, per fornire un sostegno alle
amministrazioni locali, per contrastare i fenomeni di razzismo e di
discriminazione che si stanno verificando ovunque.
LA
CASA IL DIRITTO ALL’ABITAZIONE ED ALL’ISCRIZIONE ANAGRAFICA
In
Italia, l’iscrizione nelle liste anagrafiche della popolazione
residente di un comune afferisce al diritto costituzionale di
circolare e soggiornare liberamente sul territorio nazionale
(art. 16 Cost.), e nel contempo è requisito essenziale per
poter effettivamente esercitare altri diritti fondamentali. Essa
rappresenta un presupposto per qualsiasi processo d’integrazione
degli stranieri, compresi i beneficiari di protezione internazionale
e i richiedenti asilo
Occorre
semplificare tutte le procedure per l’iscrizione anagrafica, anche
con riferimento ai richiedenti asilo ed ai rifugiati ospiti dei
centri di accoglienza. Le politiche di inclusione e di assistenza
dovranno garantire soluzioni alloggiative dignitose agli immigrati
come alle altre fasce deboli della popolazione autoctona. Il diritto
alla casa va riconosciuto alle persone in quanto componenti di una
unica comunità di persone, residenti stabilmente in un determinato
territorio e non dovrà diventare occasione per ennesimi conflitti
sociali o per altre guerre tra poveri . Si
devono valorizzare i processi di auto recupero con il coinvolgimento
diretto degli immigrati, la gestione cooperativa di spazi pubblici in
disuso, e questo non solo per migranti, non solo per gli autoctoni
più svantaggiati, ma per l’intera comunità residente, garantendo
anche spazi di lavoro e di
comunicazione alle associazioni, come ad esempio con la istituzione
di una Casa delle culture presso la sede della Consulta .
Va
garantito per tutti gli indigenti, a condizioni di parità tra
immigrati ed autoctoni, il diritto alle cure gratuite e vanno
semplificate le procedure per l’iscrizione al Servizio sanitario
nazionale. Va salvaguardata l’effettiva attuazione dei principi
sanciti dall’art. 32 della Costituzione che non distingue tra
migranti e cittadini, ma si rivolge a tutte le persone comunque
presenti sul territorio nazionale.
“La Repubblica tutela
la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della
collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti”.
Un’attenzione
particolare va rivolta alla situazione delle persone che perdono il
diritto all’iscrizione anagrafica e quindi il diritto all’accesso
alle prestazioni sociali, tra loro anche un numero crescente di
cittadini italiani. E vanno altresì rimosse tutte le norme e le
prassi che negano una piena fruizione del diritto alla salute ai
cittadini dell’Unione Europea comunque presenti in Italia.
LE
VITTIME DI TORTURA E DI TRATTAMENTI INUMANI O DEGRADANTI. LE FERITE
INVISIBILI
Le
torture e i trattamenti inumani e
degradanti continuano ad avere
luogo quotidianamente e costituiscono un’offesa alla dignità
umana. Un numero crescente di vittime che si confondono e si
nascondono in mezzo a noi, nella speranza di costruire
una nuova vita, una nuova dignità, una nuova storia non segnata da
violenza e dalla mancanza di libertà. Uno strumento fondamentale in
questo senso è il riconoscimento del
loro status di rifugiato,
a cui hanno diritto tutti quegli individui che, nello stato
d’origine, rischiano la propria integrità fisica e mentale per le
proprie scelte politiche, religiose, di orientamento sessuale o per
un’appartenenza etnica. a causa di una massiccia, sistematica e
diffusa violazione dei Diritti Umani nei Paesi d’origine o di
transito . Per i numerosi minori
stranieri che arrivano in Italia con
segni fisici e psichici di tortura o di altri trattamenti disumani o
degradanti vanno apprestate tutele specifiche e tempestive, a partire
dalla prima accoglienza, nella quale va evitata la ricorrente
promiscuità con adulti, causa di altre possibili violenze. Vanno
facilitati tutti i percorsi che portano alla nomina di un tutore ed
alla conferma dei documenti di soggiorno anche dopo i diciotto anni,
ed anche quando non ci siano i presupposti per il riconoscimento di
uno status di protezione internazionale o umanitaria. In
Italia il diritto d'asilo alle vittime di tortura viene riconosciuto
quasi esclusivamente a chi presenta certificazione medica. Il
richiedente deve produrre una “giustificata” prova traumatica che
dimostri la possibilità di aver sperimentato violenza
individualmente. Occorre
rivalutare un concetto più ampio di tortura che tenga conto delle
gravissime violenze che sempre più spesso vengono inflitte ai
migranti, alle donne in particolare, durante il loro viaggio nei
paesi di transito. La
presa in carico di questi particolari pazienti non può essere però
un problema del singolo operatore o professionista, che spesso lavora
in condizioni di invisibilità e solitudine, ma è un problema più
ampio, che coinvolge e chiama direttamente in causa le Istituzioni.
Occorre
garantire servizi che facilitino la scoperta immediata delle vittime
di tortura e di trattamenti inumani o degradanti. E occorre
l’attivazione di una struttura specializzata che possa affrontare i
postumi dei traumi subiti durante il viaggio, sia da un punto di
vista fisico che psichico. È necessario il riconoscimento ed il
supporto del lavoro svolto in questi anni in modo competente e
multidisciplinare dalle equipe che si sono specializzate in questo
campo e che hanno agito e agiscono sinergicamente con l’obiettivo
di “guarire dalla tortura”.
I
MINORI STRANIERI NON ACCOMPAGNATI. IL DIRITTO AL FUTURO
Nel
sistema italiano di accoglienza dei minori stranieri non
accompagnati. le principali criticità non emergono dal quadro
normativo quanto piuttosto dalle prassi. Situazioni quali quelle che
periodicamente si registrano nei CPSA di Lampedusa e di altri porti
siciliani, o nelle comunità di accoglienza, si pongono in palese
violazione con gli standard internazionali e nazionali di tutela
dell’infanzia e dell’adolescenza. Oltre a essere lesive della
dignità dei minori coinvolti, il rischio è che gli stessi si
allontanino dalle strutture in cui sono accolti e si trovino esposti
a situazioni di pericolo. Peraltro, i ritardi nella nomina del tutore
legale o nel trasferimento in strutture di accoglienza adeguate
rallentano l’avvio dei percorsi di inserimento sociale dei bambini
e degli adolescenti.
In tutte le procedure che riguardano i minori non accompagnati, dovrebbe prevalere il loro superiore interesse, principio guida per ciascun attore coinvolto a vario titolo nella presa in carico, nell’assistenza e nell’accoglienza di queste persone vulnerabili. Perché tale principio trovi piena realizzazione è necessario che si ponga al centro la singola persona con tutte le sue peculiarità, con la sua storia individuale e le sue precipue esigenze. Come la Corte costituzionale italiana e la Corte europea dei diritti umani hanno costantemente ribadito, i bambini e gli adolescenti stranieri sono innanzitutto dei minori d’età e, in quanto tali, debbono beneficiare di una tutela rafforzata che possa offrire loro riparo dalla situazione di vulnerabilità in cui versano.
Occorre garantire la nomina più tempestiva dei tutori, attivando processi di formazione e monitoraggio, e semplificare le procedure per il rinnovo dei permessi di soggiorno per minore età al compimento del diciottesimo anno di età, anche per non appesantire eccessivamente il lavoro delle commissioni territoriali competenti a decidere sulle richieste di asilo.
Occorre anche evitare che la prassi di richiedere il passaporto rilasciato dal paese di origine possa impedire il completamento dei percorsi di inserimento intrapresi dai minori dopo il loro arrivo in Italia.
In tutte le procedure che riguardano i minori non accompagnati, dovrebbe prevalere il loro superiore interesse, principio guida per ciascun attore coinvolto a vario titolo nella presa in carico, nell’assistenza e nell’accoglienza di queste persone vulnerabili. Perché tale principio trovi piena realizzazione è necessario che si ponga al centro la singola persona con tutte le sue peculiarità, con la sua storia individuale e le sue precipue esigenze. Come la Corte costituzionale italiana e la Corte europea dei diritti umani hanno costantemente ribadito, i bambini e gli adolescenti stranieri sono innanzitutto dei minori d’età e, in quanto tali, debbono beneficiare di una tutela rafforzata che possa offrire loro riparo dalla situazione di vulnerabilità in cui versano.
Occorre garantire la nomina più tempestiva dei tutori, attivando processi di formazione e monitoraggio, e semplificare le procedure per il rinnovo dei permessi di soggiorno per minore età al compimento del diciottesimo anno di età, anche per non appesantire eccessivamente il lavoro delle commissioni territoriali competenti a decidere sulle richieste di asilo.
Occorre anche evitare che la prassi di richiedere il passaporto rilasciato dal paese di origine possa impedire il completamento dei percorsi di inserimento intrapresi dai minori dopo il loro arrivo in Italia.
UNA
NUOVA LEGGE SULLA CITTADINANZA
Non
occorre scomodare né dichiarazioni universali né interventi di
altri paesi per procedere ad una riforma radicale della legge sulla
cittadinanza, sempre rinviata da decenni, dal Parlamento italiano.
Occorre abbandonare l’arcaico riferimento allo ius sanguinis,
riconoscere tempestivamente l’acquisto del diritto di cittadinanza
alle “seconde generazioni” favorire e non ostacolare in tutti i
modi i percorsi di acquisto della cittadinanza per effetto della cd.
naturalizzazione, favorire trasparenza, tempestività e legalità nel
riconoscimento della cittadinanza a seguito di matrimonio.
Occorre ridurre i tempi e le pastoie burocratiche che ostacolano il riconoscimento della cittadinanza italiana rimettendo alla discrezionalità più totale e sensibilità delle amministrazioni locali. Si devono ridurre i tempi e la penosità delle procedure evitando i continui rinvii da un ufficio ad un altro.
Occorre riconoscere la piena equiparazione, a fini dell’accesso a tutti i servizi e anche di elettorato attivo e passivo, a cominciare dalle elezioni amministrative locali, di persone cittadini italiani e persone residenti stabilmente in Italia.
Occorre ridurre i tempi e le pastoie burocratiche che ostacolano il riconoscimento della cittadinanza italiana rimettendo alla discrezionalità più totale e sensibilità delle amministrazioni locali. Si devono ridurre i tempi e la penosità delle procedure evitando i continui rinvii da un ufficio ad un altro.
Occorre riconoscere la piena equiparazione, a fini dell’accesso a tutti i servizi e anche di elettorato attivo e passivo, a cominciare dalle elezioni amministrative locali, di persone cittadini italiani e persone residenti stabilmente in Italia.
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